La violenza di genere è il tema della prima edizione dell’ “Adolfo Celi CIRS Messina Short Film Festival 2020”

Promotrici dell’iniziativa sono le associazioni messinesi C.I.R.S. (Comitato Italiano Inserimento Sociale) e Sostieni un paziente a distanza, con la collaborazione della F.N.C. Federazione Nazionale Cinevideoautori, che organizza a Messina il Fotogramma d’Oro Short Film Festival, giunto alla 51esima edizione.

“Violenza di genere” è il tema del concorso, riservato a cortometraggi la cui durata non dovrà superare, preferibilmente, i 10 minuti (titoli di testa e di coda compresi).
I cortometraggi potranno essere realizzati anche con smartphone e dovranno avere come argomento la violenza di genere in tutte le sue forme. Ogni autore potrà presentare fino ad un massimo di due corti.
Termine ultimo per l’iscrizione è il 15 maggio 2020.
I file delle opere da iscrivere al concorso e la copia del Modulo d’iscrizione, debitamente compilato e firmato, dovranno essere inviati esclusivamente tramite WeTransfer, o supporti similari, alla seguente mail: sostieniunpazienteadistanza@gmail.com. Alla mail potranno essere allegati eventuali foto di scena e del regista.
Per maggiori informazioni e/o chiarimenti è possibile consultare e scaricare il Bando integrale riportato in fondo all’articolo, insieme al file del Modulo di iscrizione.

Vi diamo ora qualche informazione sulle associazioni promotrici del Festival.

CIRSLa nascita del C.I.R.S., allora C.I.D.D. – Comitato Italiano di Difesa morale e sociale della Donna, risale al 16 febbraio 1950, quando un gruppo di donne politicamente attivo fondò il C.I.D.D. con l’obbiettivo primario di studiare le condizioni reali delle “case chiuse”, sostenendo il progetto di legge che ne stabiliva l’abolizione e contestualmente prevedeva l’assistenza alle donne che decidessero di “cambiare vita”. La suddetta legge fu approvata nel 1958 e divenne nota col nome di “Legge Merlin”.

La Sede Provinciale di Messina, già operativa dal 1957, fu costituita ufficialmente nel 1959; a presiederla fu nominata la Sig.ra Maria Celeste Celi Curatolo, la quale si impegnò a costituire una rete di rapporti sociali, coinvolgendo forze socio-culturali, politiche e religiose cittadine, per programmare tutte quelle attività volte al recupero di donne in stato di disagio.
L’obiettivo prioritario fu quello di restituire alle donne in difficoltà quella dignità morale che esperienze di vita complesse avevano messo in crisi. L’opera di assistenza si è svolta inizialmente con interventi sul territorio, nei quartieri sottosviluppati della città.

Maria Celeste CeliIl C.I.R.S. Messina, presieduto da Maria Celeste Celi (nella foto a fianco), ha istituito la “Casa Famiglia” per donne e minori in situazioni di rischio sociale e la “Casa rifugio“, ad indirizzo segreto per donne e minori vittime di violenza. Il progetto scaturisce dall’esigenza di rispondere in maniera concreta alle urgenze di donne e minori vittime di violenza fisica e psichica, che necessitano di immediata accoglienza in regime di protezione e non.
E’ fondamentale garantire a chi subisce violenza la possibilità di sfuggire a tale fenomeno, aiutando la donna a ricostruire la propria vita e la propria dignità come persona, liberandola dall’oppressione, dalla paura … dal “silenzio”.

L’associazione Sostieni un paziente a distanza, invece, è stata costituita a Messina nel 2016 su iniziativa di Donatella Lisciotto, (nella foto sotto) Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana, socio fondatore e Segretario scientifico del LaboratorioFullSizeRender Psicoanalitico Vicolo Cicala di Messina e portato avanti dagli psicologi Letterio Gatto, Marco Liotta, Cinzia Musicò, Dayana Raffa e Fabrizia Strangio. Il progetto dell’associazione Sostieni un paziente a distanza è rivolto alle persone in stato di difficoltà psichica e sociale che, pagando un contributo simbolico di 2 euro, potranno ricevere sostegno psicologico. L’obiettivo è di dare la possibilità anche a coloro che appartengono alle fasce socio-economiche più svantaggiate di usufruire della cura psicologica. ll progetto Sostieni un Paziente a Distanza ricopre un ruolo interessante anche da un punto di vista culturale e preventivo. Favorire la cura psicologica anche alle persone in difficoltà economica o a basso reddito si traduce in un miglioramento culturale a vantaggio della collettività.

SostieniIl progetto è attuato mediante la sottoscrizione, da parte di donatori, di contributi liberali e l’organizzazione di attività ed eventi culturali. I fondi raccolti sono destinati a coprire i costi della macchina organizzativa del progetto, ovvero il lavoro degli psicologi coinvolti.
In particolare, i fondi serviranno alla realizzazione di un supporto psicologico individuale a cadenza settimanale e di laboratori espressivi di gruppo.

Nel progetto s’intrecciano pertanto due priorità, quella di dare alla singola persona l’opportunità di riscattare il proprio benessere e quella di promuovere le competenze di giovani professionisti motivati a fare la propria parte per una società migliore.
Il riconoscimento della dignità del singolo individuo, attraverso il suo bisogno di benessere, è progresso civile.
Dare ai giovani psicologi la possibilità di operare nel loro settore consente una crescita professionale e dunque culturale, che dal singolo si estende all’intera comunità.

Siamo certi che saranno numerosi i corti partecipanti, per il valore sociale dell’iniziativa e per l’attualità del tema da trattare.

L’iscrizione dei corti è gratuita.

Bando Celi SFF

MODULO ISCRIZIONE

 

 

 

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“Rosso di sera bel tempo si spera” di Sabrina Pistone

«A volte la realtà supera la fantasia.
A volte, leggiamo storie di vita, talmente black, da sembrarci un film, scritto e arricchito dei particolari più suadenti!
Quando una storia supera il limite dell’ammissibile, per una difesa interiore, forse la consideriamo un bel copione da teatro! Non è facile poter dire con estrema verità quello che una donna subisce in quelle famose “quattro mura di casa”. Il mio scritto “Rosso di sera bel tempo si spera” non è altro che ispirato a una storia vera: La mia!» Così ha risposto Sabrina Pistone (nelle foto) alla nostra domanda su quale film le avesse ispirato lo scritto che di seguito pubblichiamo.

IMG-20200209-WA0006Attualmente Sabrina sta lottando contro un “mostro” che certamente sconfiggerà con l’energia del suo essere La vita! Durante l’incontro avuto qualche giorno fa, ci ha anche detto che si può scrivere ogni cosa di lei, ed ha aggiunto, «perché è figlia della verità, che è la cosa che più mi interessa e per la quale lotto!».

Sabrina, oltre ad essere una bravissima disegnatrice e pittrice, allieva del pittore Piero Serboli, è anche una valida scrittrice, a tal proposito, nel corso del nostro incontro, ci ha rivelato che sta scrivendo un libro che presto pubblicherà.
Sabrina ci ha ancora raccontato: «Ero una giovane ragazza, dal cuore limpido e puro, dai sentimenti intatti e nutriti con cibo sano e perle di saggezza di mio padre!
Vivevo a Bologna, era l’anno 2007, studiavo Storia dell’Arte al famigerato DAMS! Ero tutta sogni e libertà! Non avevo mai respirato tanta libertà e quando questa lascia il posto all’innamoramento, inizia un duello interiore che fa a pugni con un sentimento antico, quale l’amore. L’amore arrivò e scombussolò la mia quiete e il mio sentiero felice e spensierato. Un uomo, un amore malato, si insediavano nella mia vita come una serpe furba e furibonda! Ben presto, mi trovai in una trappola chiamata “storia d’amore”, ma dell’amore vero, vi era ben poco: paranoie inaudite e feroci come belve, ossessioni allucinanti, possesso e gelosie prive di fondamenta, torture mentali che spaccavano in due il mio intelletto, un 50% di residuo di lucidità contro un 50% di offuscamento della realtà eIMG-20200209-WA0002 plagio da parte di un uomo che aveva smarrito, forse da tempo, quel bel concetto e valore che tutti chiamano Amore! Lui, il Signor Amore, non lo conosceva affatto, conosceva la distorsione dello stesso: confondeva la bellezza con la bruttura, ossessionato e ossessionante, infondeva paura, spesso terrore, provocava e umiliava, sconosceva il diritto di libertà della donna, il mio! Mi ha schiaffeggiata con violenza, mi ha sbattuta al muro afferrando i miei bellissimi capelli, mi ha messo le mani alla gola, per poi allentare la presa. Forse un angelo mi ha salvata! Mi ha “amata” e mi ha odiata! Mi ha trattata come una scopa inutilizzata e mi ha coccolata come una delle più belle principesse. Mi ha apprezzata per la mia cucina sicula, e mi ha disprezzata per la mia solarità (anch’essa sicula) a suo avviso troppo audace ed esuberante. Ha inventato film, ha creato personaggi inesistenti, ha dato vita a fantasmi e a idee assurde, ha violato la mia bellezza, ha assassinato i miei sogni di giovane ragazza, ha annientato i miei rapporti umani, ha fatto tabula rasa attorno a me, ha dato fuoco in un grande falò ai miei obiettivi e IMG-20200209-WA0005ai miei giorni felici, al mio cuore disintegrato e al mio animo lacerato. Ha giocato con i miei sentimenti in un rimbalzare di folli considerazioni, e amava e odiava, e amava e distruggeva la mia mente. La sua violenza psicologica ha fatto di me una carta stropicciata, tagliuzzata, lasciata nell’angolo di una stanza che profumava di “Roma uomo”. Ho conosciuto la violenza del corpo e ancor più la violenza perpetuata dell’anima. Quest’ultima ci ha messo 10 anni a risorgere dalle sue ceneri. Un giorno ho visto volare in alto nel cielo una bella Fenice che planava in piena libertà».

A conclusione del nostro incontro, Sabrina Pistone ci ha consegnato il suo scritto intitolato “Rosso di sera bel tempo si spera” che integralmente di seguito trascriviamo.

«Rosso!
Ho sempre trovato affascinante e mistica la sua intensità, quella che attrae lo sguardo, quella che fa volare il desiderio verso un gioco passionale intriso d’amore, d’amore sì!
L’eleganza di un Rosso Valentino. IMG-20200209-WA0009
Rosse scarpe ben in vista nelle lussuose vetrine delle città. Rosso, il Red carpet che si srotola tra un trasloco e l’altro del cuore. Di rosso carminio dipingo un soldatino.
Rosso … tu fai sognare … e fai tremare. L’intensità di uno schiaffo colora il mio viso, la rabbia si tinge di rosso, il sangue sporca l’anima e le bianche lenzuola profumate. Non c’è più fascino, non c’è amore, non c’è idillio, non c’è pace in questo nido di rovi. “Sbatto” contro una porta, Noo! È stato il vento a chiuderla sul mio dolce viso. Le sue mani fremono contro la mia pelle delicata. La sua ira, come quella di Achille, ha travolto il mio corpo che per “sbaglio” per un tappeto piegatosi su se stesso, mi ha fatto inciampare nelle sue luride mani piene di sporca virilità.
Mi rivolgo a te: tu non sei una donna, tu sei un “gigante di menzogne”, tu racconti frottole al tuo uomo.
Lui ti ama, lui ama tutto di te: ama i lividi che ti ha disegnato sulla pelle bianca; ama quel buco fra i capelli che con “cura” ha estirpato; ama le bruciature che ti ha provocato come un suino marchiato a fuoco.
Ama di te i tuoi sogni infranti, le tue amiche svanite nella nebbia, ama di te il tuo insolito modo di abbracciarlo … hai risvegliato il suo demone. Ama di te la tua voce tremante, quando i suoi occhi infuocati ti saettano il cuore. Ama il tuo terrore espanso in tutta la stanza. Ama di te le corse forsennate verso il telefono che mai raggiungerai, perché arriverà prima di te il mostro. Ama di te il tuo freddo sudore, ne sente il brivido quando scivoli sul gelido pavimento di marmo …
Tu non sei una donna, ti sussurra! Tu esisti perché io ti dono la possibilità di essereIMG-20200209-WA0010 qualcuno, nella vita, nella società (dalla quale ti isola, il meschino) … non credere di valere qualcosa senza me accanto, tu non sei nessuno! Ulisse ingannò Polifemo, tu donna non ingannerai mai il tuo uomo con i tuoi modi dolci … con la maglietta della Croce Rossa addosso, non salverai nessuno. Lui ha fame di te. Ti divora il cuore e l’animo come un cannibale che mastica le tue emozioni perdute. Il tuo corpo si sgretola, deperisce, si spegne piano piano, lentamente muore. Ha sete del tuo spirito luminoso, lui non conosce la luce, e così vaga nel buio e nel gelo del suo essere, come un lupo mannaro. Con le mani avvinghiate al tuo collo, ti “ama” e ti odia, ti respira e ti punisce, ti possiede e ti butta via, accartocciata in un angolo dove ride come un joker e si beffa di te. Ti chiede umilmente scusa, si gongola nella sua tormentata follia d’amore.
Una vocina, ti suggerirà che è un amore malato. Sei fragile donna e credi ancora alle favole. Che tenerezza che mi fai, ti vedo sai, piegata in due dal dolore con le tue mani incollate alIMG-20200209-WA0001 viso per non vedere più dolore e le gambe bastonate, che zoppicano in quel desiderio di rivalsa. Vedo i tuoi occhi spenti donna, e il tuo respiro affannato che anela aria di libertà. Sei consapevole che ha trafitto la primavera più bella del tuo vivere? Possiedi un minimo di lucidità che ti consente una fuga d’Egitto, degna di un velocista che sta tagliando un traguardo?
Donna, amica della mia natura selvaggia, ti suggerisco una corsa, che alleggerisca il peso che porti nel cuore.
Corri, veloce, fuggi, scappa, scappa, scappa via da lui e da te, quella te, che ha bisogno solo di RISVEGLIARSI, di abbracciare la vita, di vedere la bellezza fuori da quelle finte pareti di carta dove tutto odora di morte … fuori, dove il sole ti scalda, il vento ti accarezza e tu donna, vestita con un abito rosso, pedalando in bicicletta non rinunci alla vita ma la onori con la tua scelta d’amore verso te stessa!»
Sabrina Pistone (in Arte JORA) 

Giovanni Rappazzo: il messinese che inventò il cinema sonoro

Riceviamo e volentieri pubblichiamo lo scritto di Caterina Fogliani, (nella foto a fianco)fbtmdn nipote di Giovanni Rappazzo (nella foto in alto), inventore del cinema sonoro.

Seguendo una prassi ormai consolidata di rendere omaggio ad un’eminente figura messinese, ormai scomparsa, che si è distinta in campo artistico, la prossima edizione del Fotogramma d’Oro Short Film Festival sarà dedicata a Giovanni Rappazzo.

Scrive Caterina Fogliani: «Ricordo ancora l’ultima intervista che mio nonno fece ad un inviato del Corriere della Sera. Era una mattina dei primi di febbraio del 1995. Il 3 aprile, esattamente un mese dopo, Giovanni Rappazzo (nella foto in basso) morì, proprio nell’anno del centenario del cinema. Lui che, fino alla fine, con gli ultimi sussulti di rabbia, continuava a ripetere: «Il Cinema Sonoro l’ho inventato io molto tempo prima della Warner. Nessuno però mi ha voluto dare retta». Così lo vedevo tirare fuori dai cassetti, per l’ennesima volta, i brevetti del Suo Film Sonoro con i disegni che riproducevano la descrizione della “Pellicola Cinematografica ad impressione contemporanea di immagini e suoni”.Rappazzo

Spesso diceva: «Scrissi a tutte le case cinematografiche di allora, italiane e straniere, la Cines, L’Ambrosio, La Pathè, dicendo che avevo inventato il cinema parlante. Ma loro mi rispondevano che il cinema era nato muto e doveva restare muto».

Mio nonno, nonostante fosse giunto alla veneranda età di quasi 102 anni, si sforzava come sempre di essere preciso, cercando di ricordare con esattezza ogni particolare della sua incredibile vita. Raccontava di quando, a sei anni, dovette andare via da Messina per seguire il fratello a Genova; e quando, per la prima volta, entrò in un cinema e vide le comiche di Cretinetti, commentando che quelle immagini senza voce gli sembrassero non solo insopportabili, ma anche inutili.

A quindici anni tornò a Messina, subito dopo il terremoto del 1908. Si iscrisse all’Istituto Industriale “Verona Trento” e la sera, nel tempo libero, faceva l’operatore cinematografico nel primo cinema edificato a Messina da suo fratello Luigi, dopo il terremoto: l’Eden Cine Concerto (nelle foto sotto l’ingresso e lo schermo esterno).

«Mi tornava sempre in mente – raccontava mio nonno – quando da piccolo ho sentito mio padre suonare e subito dopo ho ascoltato un grammofono che, come per miracolo, riproduceva tutti i suoni. Poi una sera, mentre proiettavo, misi la pellicola al contrario e la gente in sala protestò rumorosamente. Per un attimo pensai che quelle voci concitate provenissero dalla pellicola, così la presi tra le mani e dissi: Un giorno questi suoni usciranno da te, perché tu li produrrai artificialmente! E così mi misi a studiare. Smontavo e rimontavo una cinepresa Pathè Freres ed un proiettore Herrmann. Sapevo che anche molti altri scienziati, con a capo Edison, stavano cercando di sonorizzare il cinema. ElettrocinefonoMa ogni volta si fermavano davanti all’impossibilità di realizzare il sincronismo tra suono e immagini. Ma io continuai instancabilmente nei miei esperimenti finché, con grande mia gioia, realizzai LA COLONNA SONORA attraverso la produzione di un innovativo rivelatore con cellula fotoelettrica, per poterla poi proiettare sullo schermo (foto a fianco). Così iniziai a filmare la partenza di una macchina con il motore a scoppio, una nave traghetto sullo Stretto, (quella che camminava con le due ruote sui due fianchi), ed ancora feste, canti e balli. Quando li proiettavo, la gente scappava come se avesse visto il diavolo. Credetti a tal punto nella mia invenzione che non esitai un attimo a lasciare il posto che avevo intanto ottenuto come dirigente della Società Elettrica di Milazzo. E cominciò così il mio pellegrinaggio: prima Milano, poi Roma, Torino, Genova. Pensai: se non vado in un grosso centro cinematografico non combino niente. E così di colpo piantai baracca e burattini».
Giovanni Rappazzo, mentre era in cerca di un’occupazione, ottenuta prima alla Marelli e poi all’Ansaldo, provava a bussare alla grande industria del Cinema. Ma nessuno gli rispose, nessuno gli chiese di vedere quei progetti. Così aspettò che terminasse la prima guerra mondiale e preparò i documenti per brevettare le sue invenzioni.

«Avevo paura che qualcuno mi rubasse l’idea – raccontava ancora mio nonno – ed il 19 febbraio del 1921, alle due del pomeriggio, depositai alla Prefettura di Genova i miei studi con i 4 brevetti di privativa industriale n.195883-195884-199022-n.43/17 (nelle foto sotto).

Sentivo di avere tra le mani la scoperta del secolo, così decisi di sfruttare io stesso l’invenzione mettendomi in affari con un industriale di Genova. A questo scopo fondai a Cornigliano Ligure una “Scuola cinematografica film-sonora”, la prima al mondo. Poi, un giorno, mio fratello mi disse di fermare tutto, che sarebbe arrivato lui con il capitale. Lui arrivò, ma senza capitale … e nun cumminau nenti!».
Il sogno di diventare ricco e famoso svanì in un attimo. Rappazzo dovette chiudere la scuola e perse il lavoro. Aveva già una famiglia sulle spalle e fu costretto a rimettersi a viaggiare.

Si fermò a Cagliari, dove ottenne la cattedra di insegnante in un Istituto Industriale. Nel frattempo gli anni passavano e i fratelli Warner lanciarono nel 1927 Il cantante di jazz (The Jazz Singer), erroneamente considerato il primo film sonoro della storia, poiché non vi era incisa la colonna sonora sulla pellicola, ma veniva utilizzato un disco grammofonico, sistema tecnico che lo scienziato messinese aveva già superato con i suoi progetti.

Nel 1924 scadde il termine per il rinnovo dei brevetti, e poiché Giovanni Rappazzo, ridotto in povertà, non potette più pagare le tasse, vide la sua meravigliosa invenzione Fono filmusurpata dagli americani, nella figura di William Fox. In un paio d’anni tutte le case di produzione si adeguarono al nuovo sistema cine-sonoro e agli inizi degli anni Trenta il muto era già sepolto.
A Rappazzo restarono l’amarezza ed una catasta di lettere e denunce. Scrisse prima a Mussolini, poi a Los Angeles, che grazie a Hollywood è diventata la capitale mondiale del cinema. Nel dopoguerra perfino all’Aja ed all’ONU.

Da Cagliari ritornò poi a Messina e continuò la sua anonima vita da professore, senza però smettere un solo attimo di lottare per essere riconosciuto quale il primo vero ed unico inventore del cinema sonoro.

La sua incredibile storia ebbe dei risvolti persino paradossali, come quando nell’anno 1933 non lo fecero entrare al cinema per una proiezione speciale neppure con la riduzione per gli invalidi di guerra. Alla fine non chiedeva più il risarcimento economico, ma soltanto che gli fosse riconosciuta la sua invenzione. Neppure l’onorificenza di Grande Ufficiale al Merito della Repubblica, conferitagli qualche mese prima di morire dal Presidente Scalfaro, bastò a lenire la sua sofferenza per la gravissima ingiustizia subita.

Giovanni Rappazzo morì il 3 aprile 1995. Le sue spoglie riposano accanto a quelle dell’adorata moglie, nel  cimitero  monumentale di Messina».

                                                                                                         Caterina Fogliani