Le mosche di Mauro Mingardi (nella foto sopra) è il titolo del cortometraggio che sarà proiettato in occasione del quarto appuntamento di Corti … Incontri, martedì 4 febbraio al Laboratorio Psicoanalitico Vicolo Cicala. La proiezione sarà preceduta da un intervento via Skype della dott.ssa Marzia Toscano, studiosa di Mingardi e regista, insieme a Davide Rizzo, del documentario Un western senza cavalli, di cui parleremo più avanti.
Il corto (foto a fianco), realizzato in pellicola 8mm tra il 1970 e il 1971, è un horror psicologico che narra di un bizzarro restauratore di vasi che ha la malsana mania di collezionare e seviziare mosche ed insetti di vario tipo. Un giorno una vicina, per la quale l’uomo prova una particolare attrazione, si reca da lui per riparare un vaso che ha rotto. L’uomo è talmente sovraeccitato che non si accorge di offrirle del veleno, anziché dell’acqua.
Mauro Mingardi, premiato sia in Italia che in ambito internazionale, è uno degli autori più conosciuti ed apprezzati nell’ambiente amatoriale e semi-professionale cinematografico bolognese.
Il regista entra in contatto con il cinema sin da bambino quando va a vedere Biancaneve della Disney, la cui visione provoca in lui un piacevole stupore per i colori così accesi e per le fantastiche ambientazioni. Ma la fortuna di Mingardi si realizza quando, nell’estate del 1953, in una Bologna afosa e in piena ricostruzione post-bellica, una limousine bianca attraversa i viali della città trasportando la star di Hollywood Yvonne De Carlo. La macchina si ferma a una pompa di benzina, ma la De Carlo ha solo dei dollari che il benzinaio rifiuta a fronte del rifornimento effettuato. La diva, allora, propone di barattare il pieno di benzina con una cinepresa Keystone 8mm. Il benzinaio accetta.
Non si saprà mai il motivo per cui Yvonne De Carlo fosse a Bologna, di certo si sa solo che cinque anni dopo il giovanissimo Mauro Mingardi inizia ad utilizzare proprio quella macchina da presa, ereditata dallo zio Vasco Pasini il quale, a sua volta, l’aveva ricevuta dal benzinaio, suo amico.
L’attività produttiva di Mingardi inizia nel 1958 quando, dopo aver studiato la meccanica della cinepresa e aver appreso le basi della tecnica di ripresa, si cimenta nei lavori a soggetto con il suo primo film intitolato L’oro maledetto. La curiosità è davvero tanta e il giovane Mauro non esita a coinvolgere amici e parenti nelle sue sperimentazioni. Con pochi ed elementari mezzi, con un budget quasi inesistente, ma con l’aiuto pratico degli amici, inizia quel percorso che lo avrebbe presto portato ad essere riconosciuto ed apprezzato in Festival nazionali ed internazionali.
È il 1970 quando Mingardi con Il tempo nel muro (nella foto sotto) vince il Festival Internazionale di Rapallo, superando Roberto Rossellini ed Ermanno Olmi. Un traguardo impensabile per un autore sconosciuto ai più, un cineamatore che non volle mai allontanarsi da Bologna e dal suo quartiere, la Cirenaica, dove lavorava come falegname coltivando al contempo la sua più grande passione, quella della pellicola, e trasformando la via Emilia nella sua personalissima Hollywood.
Nel 1977 Mingardi abbandona le sue cineprese 8mm per una Canon Zoom DS8 (nella foto a fianco) e inizia a girare in questo formato. Il doppio Super8 è una derivazione del Super8, che offriva maggiori informazioni rispetto al 8mm in quanto la superficie su cui si imprimevano le immagini era più larga. Mingardi decide di usare il doppio Super8 che aggiunge una difficoltà rispetto al semplice Super8, in quanto la pellicola viene impressa prima da un lato, poi, al buio, bisogna girare dall’altro lato la bobina per poterne imprimere il secondo lembo. I film che Mingardi (nella foto sotto sul set) gira dal 1977 in poi in doppio Super8 mostrano l’evoluzione percettiva e professionale dell’artista tanto che si fatica a definirlo ancora un cineamatore.
Le fasi di maturazione del linguaggio espressivo di Mingardi possono essere così fissate: i primi anni del 8mm come quelli della presa di coscienza del mezzo e della sperimentazione; la seconda metà della fase 8mm identifica gli anni di transizione e della strutturazione dello stile; ed infine gli anni del Super8 nei quali si esprime la sua reale maturazione cinematografica.
Con l’utilizzo del Super8 Mingardi sperimenta il medio e lungometraggio con Vita d’artista (foto a fianco) e i thriller Gli usignoli di Rellstab, Il fiore tra le rovine, Amore e cuore non fanno rima. La sua produzione si dilata nel tempo e compaiono i primi attori professionisti.
Dal 1990 Mingardi inizia ad avere seri problemi nel rinvenimento della pellicola doppio Super8 che sta lentamente scomparendo, prima ancora degli altri formati, per dare spazio al nastro magnetico. Girare in Super8 poi diventa sempre più complicato in quanto, nei Festival, per alleggerire i costi di acquisizione e proiezione, sempre più di frequente è richiesto il più maneggevole ed economico nastro VHS.
La storia filmica di Mauro Mingardi subisce quindi un rallentamento. Egli esprime perplessità nei riguardi del sistema video rispetto alla pellicola, manifestando dubbi ed incertezze sull’utilizzo del nastro magnetico invece della pellicola, pur riconoscendo l’improvvisa difficoltà nel reperimento del materiale. Riportiamo le sue parole: «Tutti i motivi pratici mi dovrebbero portare in questa direzione. Oltre ai precedenti si deve aggiungere la sempre maggiore difficoltà di reperire la pellicola Super8 (il bianco e nero in Italia è scomparso da anni), i laboratori di sviluppo e stampa sono sempre meno numerosi, i ricambi per i proiettori e per la mia fedele Canon sono quasi introvabili, tuttavia la conversione (o meglio la resa) all’elettronica comporta anche una modifica dello stile del prodotto finale. Il montaggio non può essere così serrato come su pellicola e il sonoro necessita, per motivi di sincrono, di una dilatazione del “taglio” dell’immagine (almeno al livello di spesa in cui mi dovrei muovere). Bisogna allora pensare ad una organizzazione in piani sequenza in cui i personaggi vengono circuiti, avviluppati dalla telecamera ricreando tutti quei piani di ripresa che in pellicola ci vengono riproposti dal montaggio. […] Quante volte, terminata una ripresa, ho desiderato vedere subito come era venuta e quale resa si era riusciti a trasferire: il video lo consentirebbe! E’ certo che l’emozione, unica ed ogni volta ripetibile, di ritornare dal laboratorio di sviluppo con la bobina sotto braccio, accendere il proiettore e vedere con trepidazione le immagini che ho catturato sulla pellicola e che non mi sfumeranno più, sarebbe perduta per sempre».
Eclettico, ironico, pieno di talento, Mingardi ha raccontato attraverso il suo cinema visionario e sperimentale, che spazia dall’horror, al grottesco, dal thriller al sentimentale, uno stile espressivo apprezzato in più occasioni da grandi cineasti, come Rossellini e Olmi.
Mauro Mingardi è considerato un vero e proprio simbolo dai filmaker di oggi. Solo la morte, avvenuta nel 2009, ha interrotto drasticamente oltre cinquant’anni di appassionata attività nella quale ha realizzato una quarantina di film oggi custoditi a Bologna da Home Movies – Archivio nazionale del film di famiglia.
Nel 2017, due studiosi di Mingardi, Davide Rizzo e Marzia Toscano (nelle foto sotto), realizzano, come detto sopra, il film documentario intitolato Un western senza cavalli.
Mauro Mingardi – dicono Davide Rizzo e Marzia Toscano – ha catalizzato da subito la nostra attenzione. L’interesse che questo particolare filmmaker ha suscitato in noi prende le mosse dai racconti della sua vita passata, dalle sue avventure registiche, dai tanti aneddoti legati alla sua persona. Ascoltando le testimonianze di Mingardi ci è immediatamente venuta la curiosità di conoscere sempre più a fondo il modo di “fare cinema” di questo personaggio. Mingardi ha attraversato la sua vita con lo spirito del regista cinematografico, uno spirito tenace che gli ha permesso di fare film per cinquant’anni e di diventare uno dei cineamatori più interessanti d’Italia. Tutta la sua produzione colpisce nell’emozione, in essa troviamo replicati tutti generi cinematografici del cinema classico: western, thriller, noir, gialli, comiche, rivisitati in uno spirito unico e personale.
Un western senza cavalli rende omaggio all’avventura artistica e umana di Mingardi, un artigiano del cinema, che ha attraversato mezzo secolo di cineamatorismo, dal pioneristico 8 mm al Super8 alle moderne videocamere, realizzando più di quaranta opere tra lunghi e cortometraggi, e vincendo in tutta Europa decine di premi in festival dedicati a quello che allora veniva chiamato “cinema amatoriale”.
La sinossi: In una radio della periferia di Bologna sta per andare in onda una trasmissione in onore dei cinquant’anni di carriera di un artista speciale e sconosciuto: Mauro Mingardi, filmmaker. Regista per passione, artigiano del legno di professione, sarà Mingardi stesso a raccontare al pubblico, attraverso la sua voce, gli incredibili numeri della sua particolare carriera. Pioniere ante litteram del filmmaking di oggi, Mingardi ha attraversato tutti i generi della cinematografia in modo unico e personale, tra cortometraggi western, lungometraggi grotteschi e filmati familiari ci ha lasciato una storia unica di passione e amore per il cinema. Ogni tappa della sua carriera è raccontata delle preziose testimonianze delle persone che hanno contribuito, con il loro supporto spassionato ed entusiasta, alla realizzazione dei film: amici intimi, parenti e collaboratori che hanno garantito, con la loro presenza, la salvaguardia di quell’aura di libertà, spensieratezza e creatività.
Al cinema di Mauro Mingardi è stata riservata una retrospettiva alla 50esima edizione del Fotogramma d’Oro Short Film Festival svoltasi a Messina a maggio del 2018. In tale occasione è stato proiettato anche Un western senza cavalli, presente la regista Marzia Toscano.
Appuntamento a martedì 4 febbraio alle 19,00 nella sede del Laboratorio psicoanalitico Vicolo Cicala, via Legnano n. 32. Dopo la proiezione seguirà il dibattito. Ingresso libero.